Un superfigo con due pollici “così”

english –  thnks to Donella

Jacques-Yves Cousteau, un uomo magrettino, sognatore, poco convenzionale…
Un uomo del secolo scorso.
Quante volte mi sono ritrovata, fin da adolescente, davanti alla tv: bocca aperta, sguardo sgranato a immaginare di nuotare in quegli abissi che sfilavano fotogramma su fotogramma, davanti ai miei occhi per minuti che parevano sfidare le leggi del tempo.
Poi come, come vuole la vita, finisce; scatta la pubblicità implacabile che ci ricorda cosa dobbiamo aggiungere alla lista della spesa.

…Fine anni ottanta, cosa si faceva finito il sogno? Di solito (parlo per me) finivo la merenda in fretta per fiondarmi nel mio angolino e semplicemente proseguire lo stesso sogno con matite colorate, colla e forbici, l’immancabile musica di sottofondo.
Creavo come una fucina d’altoforno.
Mai e poi mai sarebbe stato il pallino bianco che si formava al centro del tubo catodico spento che mi avrebbe fermato dall’esplorare i fondali, volare su deltaplani o rincorrere statuette farlocche come Indiana Jones.
Milano, anni ottanta, la mia realtà in un appartamento, tra cemento e parco giochi infestati da siringhe (e quindi poco praticabili), giardini pubblici e la scuola, la tipica scuola “prefabbricato è bello” anni ottanta di Milano.
Sono orgogliosa del mio passato.
Diploma in fisica, reciclata nel mondo del lavoro come sistemista (ovvero la colf del pc) e un mondo di tecnologia low cost colorata, divertente e alla portata di tutti. Ma proprio di tutti!
I miei quasi vent’anni di vita nel mondo dell’informatica mi hanno fatto provare tutte le emozioni possibili.
L’entusiasmo del primo mezzo di tecnologia che mi trasformava nel grande scienziato che inventava formule per esplorare il mondo; la simulata professionalità delle superiori in cui il computer (olivetti con monitor a fosfori verdi) era il mezzo per far vedere che si sapeva programmare, indispesabile per elaborare curve di analisi da stampare poi sulla carta preforata delle stampanti ad aghi (…con matita, righello e carta millimetrata ovviamente ci mettevi la metà del tempo… ma faceva figo); l’epoca del commodore e dei suoi giochini; il passaggio al primo pc vero e proprio con il primo windows… poco allettante la grafica ma quanto tempo perso a giocare a tetris e a usare “write” per scrivere racconti. Da lì in poi è storia recente, fino ai tablet e oltre.

Storia recente appunto. La storia recente mi vede ancora oggi seduta al pc a scrivere, con due piccoli mostri che fanno a gara a chi riesce a raggiungere prima il mio smartphone per provare i giochini (rigorosamente educativi continuo a ripetermi come un ritornello) e sentirsi grande come la mamma che lavora sul touchscreen.
Mi alzo dalla scrivania, prendo il cellulare, lo metto nell’ “area 51” del mio studio e con aria cattiva intimo ai piccoli mostri di non toccare il telefono della mamma perchè non è un gioco!
Come se avessi sfiorato il tasto della rabbia, entrambi i mostriciattoli piccatissimi, mi rispondono che tutti i loro amici usano il cellulare della mamma e perchè loro no?! Con l’innocenza che li contraddistingue mi chiedono cosa diavolo ci sia di diverso dal mio cellulare rispetto a quello degli altri, la forma è uguale PERGIOVE!!!
Beh con buona pace chiudo il mio protatile e spiego il mio punto di vista.
Tanto per cominciare tablet e cellulari, per quanto possano essere accattivanti hanno quasi sempre al loro interno un’antenna rice trasmittente (ovvero che riceve e TRASMETTE in continuazione) che a beve distanza non è l’ideale interazione col corpo umano. (Mi ricordo la demonizzazione dei primi cellulari da non far assolutamente tenere ai bambini, perchè “le microonde erano dannose”. Cos’è cambiato?).
Poi, proseguo, il cellulare è un mezzo di comunicazione che può essere utile in alcune circostanze ma non sempre. (ho vissuto fino al 1998 senza un cellulare! poi mi hanno obbligato a tenerlo – rigorosamente dimenticato attaccato al caricabatterie a casa come un telefono a disco).
La tecnologia, spiego ai miei mostri, è un mezzo che ci permette di realizzare alcune cose. MA non crea.
Le idee, i sogni, l’espolratore che c’è in noi E’ in noi, non nel pc. Cousteau non aveva il cannocchiale subacqueo: lo ha inventato! La tecnologia gli ha permesso di realizzarlo… ma non di inventarlo.
Mi rendo conto che in questo mondo virtuale i nostri piccoli sono convinti di essere supermagici eroi persi nei potenti meandri della loro mente, ma poi guardo i miei supermagicieroi e cosa vedo?
Vedo piccoli uomini sdraiati sul tappeto o raggomitolati da qualche parte, immobili a seguire con voracità cose che non esistono su uno schermo di pochi centimetri ed infuruarsi se gli viene tolto, convinti della loro incapacità di non poter mai proseguire quel sogno senza il “cellulare della mamma”.

La tecnologia deve essere un mezzo ed in quanto “mezzo” deve vivere tra la nascita dell’idea e la realizzazione della stessa. In MEZZO appunto.
La tecnologia, a parer mio, va usata, sfruttata senza pietà, conosciuta ed approfondita, ma in quanto tecnologia va “accesa” e va “spenta” secondo nostro volere.
Non riesco ad accettare l’idea di bambini con l’ansia (perchè di ansia si tratta) di bramare il cellulare, come del resto non riesco ad accettare l’idea che anche adulti non possano avere la forza di spegnere il cellulare.

Bisogna USARE la tecnologia, non farsi usare dalla tecnologia. Il piccolo deve poter decidere di spegnere il gioco senza che questo “off” sgretoli la sua realtà togliendo sapore a tutto quello che lo circonda in quanto “non virtuale”.

Vedo sempre più un abisso tra la concezione del sè di un infante e la sua realtà fisica e questo, in onestà mi spaventa.
Tutti abbiamo lavorato con la fantasia da sempre, ma il confine con la realtà era più chiaro. Ora quasi non si tocca: sono un superfigo (sì, con due pollici “così” da joystick) ma quando spengo la play torno lo studentello sfigato che agogna di rientrare solo in quello schermo e ritornare figo… MA COSA DIAVOLO FACCIO PER DIVENTARE FIGO REALMENTE?
La tecnologia può fornire dei modelli da seguire, ma non sostituire quello che vorremmo essere (…e che mai saremo perchè di figo così c’è solo il videogioco: un vero colpo d’ascia all’autostima).

Da cittadina ho anche imparato una cosa: la realtà ha odori più o meno gradevoli che la “virtualità” non ha.
Spesso, mi ripeto che i giochi che ho installato sono educativi… è vero, e sono anche utili in alcune occasioni, rendendo più accattivante il metodo di apprendimento, però non puzzano.
C’è un gioco che insegna la responsabilità ad un infante impegnandolo a prendersi cura di un cavallo: nutrirlo, strigliarlo, fare gare e mille altre cose. Poi c’è il cavallo.
Il cavallo che DEVE mangiare, DEVE bere etc.. e oltre a quello produce. Non parlo dell’aulica produzionde di corse felici x le praterie, ma di quelle profumatissime virtù tanto ambite per concimare i vasi di fiori.
Anche il più figo supereroe virtuale ha odori… che dopo una missione molto impegnativa non sono sicura di voler conoscere!
Ironia a parte, sono convinta (e sottolineo che si tratta solo di un mio personale parere!) che la tecnologia deve essere usata e i passi fondamentali sono come si fa ad accendere e soprattutto come si fa a spegnere. Tutto per proseguire il percorso naturale del “mezzo”: si concepisce -> si plasma -> si concretizza e si sperimenta nel reale (ovvero… sogno di diventare un esploratore fighissimo -> studio le tecniche per diventarlo -> comincio ad esplorare. Poi dopo una giornata di esplorazione scoprirò che forse una doccia non è una brutta idea 😉 )
Benn.

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