Night-Mare

Le posate tintinnano sulle ceramiche dei pasti quasi finiti, il caldo primaverile avvolge nel torpore quasi pomeridiano e si fonde col profumo di caffè, mare e spezie.
Le voci dei clienti sparsi qua e là nei vari locali lungo la vecchia città cullano come un preludio d’estate.
Dopo aver lasciato le cose in albergo decido di camminare un po’ per godermi il caldo e stendere i muscoli rattrappiti dal viaggio.
L’insolita scelta di non usare la macchina, ma treno e traversata in traghetto, mi ha lasciato meno tempo per godermi un po’ di mare in relax sulla spiaggia, ma le tre ore passate a guardarlo mi hanno già pulito dai mille pensieri che mi portavo dietro.
Un viaggio fatto di sole e mare calmissimo. Chiudendo gli occhi si sentiva solo il motore della barca semi vuota: in mezzo alla settimana c’è pochissima gente.
A quel punto cuffiette e Dire Straits ed il mood era perfetto. Periodo impegnativo alle spalle fanculo, finalmente del tempo per me.

In una via appena più larga di altre, un tavolino ospita una signora anziana con un ragazzino di poco più di 15 anni seduto di fronte. Lei con un tè, lui con un succo di frutta ed un pezzo di focaccia smangiucchiato.

La signora ha gli occhi lunghi, sottili e sorridenti, sembrerebbe orientale se non fosse per il colore del mare; capelli raccolti in una lunga treccia bianchissima ed un vestito azzurrino chiaro con dei minuscoli fiorellini blu ed uno scialle ricamato di fiori colorati sul rosa; il ragazzino occhi scuri, altrettanto orientali, incantati a guardare il centro del tavolo; capelli lunghi appena mossi legati in una coda bassa sulla tonalità del larice e la classica maglietta fantasy con jeans. Entrambi hanno una pelle stranamente abbronzata.

Sul tavolo in mezzo alle bevande un oggetto lucente, sembra un pendente dorato. Parlano una lingua che non comprendo.
Da lontano li osservo, troppo curioso per lasciare al caso quella strana coppia.

Si alza un vento leggero che profuma di fori freschi ed erba e un mucchio di terra fine che mi colpisce; istintivamente volto la testa di lato, stropicciandomi un occhio per della polvere insidiosa. Gli occhiali mi cadono ma li prendo al volo chinandomi leggermente imprecando sottovoce.

I due mi notano e sorridono alla mia espressione buffa con un dito nell’occhio e la montatura scura mezza storta sul viso.
Faccio finta di niente, sorrido anche io come se mi vedessi da fuori, un po’ comico… e mi volto di schiena, ma la polvere mi ha veramente infilato qualcosa sotto la palpebra e cerco dei fazzoletti nelle tasche.
Sento un dito tamburellare sulla spalla, parole incomprensibili accompagnate da una mano mi porgono un tovagliolino di carta.
E’ il ragazzino che offre aiuto, lo ringrazio, accetto il fazzoletto e mi pulisco l’occhio che lacrima fastidiosamente.
La donna fa un cenno al ragazzino e lui in un inglese un po’ spigoloso mi chiede se gradisco dell’acqua. Dico di no, già abbastanza imbarazzato per la situazione. La donna sorride, il ragazzo insiste e mi accompagna al tavolo come se fossi infermo, tenendomi una mano sulle spalle.
A questo punto sono incastrato e mi siedo al tavolino con loro. (…tempo per me…fanculo! e che figura di merda! sorrido.)

Il cameriere mi porta un bicchiere di acqua fresca in cui intingo avidamente un altro tovagliolino appena strappato e porto sollievo ad un occhio martoriato.

Senza pensare e senza indossare gli occhiali che mi nasconderebbero un po’, osservo il centro del tavolo dove, dentro una scatolina bianca con del raso d’altri tempi, giace un pendaglio dorato dalla forma di fiore di ibisco. Ai lati un sottile bordo laccato di rosso con il pistillo centrale bianco panna.

La donna sorride come se venisse da una dimensione diversa e in un italiano d’altri tempi mi dice:

“E’ mio, l’aggrada? E’ fiore della mia terra, regalo a nipote perché porti la terra dei suoi vecchi sempre nel cuore anche se lontano. Un ricordo di Amore per non perdere la strada, lei hai Amore da potare appresso?”

La domanda mi prende talmente alla sprovvista che crollano in un colpo tutte le sovrastrutture di rito e mi ritrovo a rispondere un:

“Io…Non lo so…” imbarazzato.

La donna ride con forza ed il ragazzino ci guarda con aria incuriosita.

“Sicuro che non sa! E’ passato troppo tempo dall’ultima volta che ha incontrato Amore, lei non più infante!” e ride di gusto nuovamente.

La osservo, sembra una bambina in un corpo antico, poi si fa seria e continua: “Amore è tutto, è senza tempo, senza luogo. Se annusa il mare di notte, senza luna, lo può sentire nel corpo”, poi indica il pendente sul tavolo “Segua il fiore rosso… le ricorderà cos’è…”

Sorrido come per accontentare un folle.

“Bravo, allora prenda il respiro stanotte e ritroverà il suo fiore. Poi non lo perda però. Voi vecchi lo perdete spesso!” (Noi vecchi?! Ma guardati!!!)

Poi parla al ragazzino e immagino traduca il discorso perché ridono assieme indicando il pendaglio. “Are you ok?”
“Yes” e prendo al volo l’occasione per ringraziare e fuggire dalla situazione scomoda.

Mi alzo, infilo gli occhiali scuri e mi dirigo all’interno del locale per pagare l’acqua; il cameriere non vuole nulla.

Esco dall’altra parte cercando di evitare la grottesca coppia di prima e portarmi quanto più possibile lontano per godermi senza pensieri la mia “mini-vacanza relax”.
Oggi mi mancavano i matti appena sbarcato!
Mi ritrovo su un’altra stradina piccola e silenziosa.

Profumo di fiori, mare e vento, ma non si vede altro che un vicolo stretto alto e sovrastato da un cielo azzurro senza nuvole.

Un gabbiano stride, un altro risponde.
Il rumore di piccoli flutti incastrati tra i legni ricorda il porticciolo nelle vicinanze; mi sistemo la polo e riprendo a camminare come intontito da milioni di pensieri inutili che abitano la mia testa. (Si certo, relax… fanculo… “Voi vecchi…” ma vai a cagare!)

Prendo un grosso respiro, sposto lo sguardo saldamente dritto davanti a me, mi ricordo del “qui e ora”: per ’sti tre giorni ho tutto e se non avrò, mi procurerò, rendendo conto di quello che faccio solo a me stesso: una pacchia, goditela!
Sfiato, raddrizzo la schiena e riprendo a camminare con aria fiera, osservando i vicoli e i colori, facendo tacere i pensieri.

Passo circa una ventina di minuti a camminare sotto il sole delle tre, tra sandaletti appesi, cartoline e gallerie all’aperto, pensando a tutte le cose che posso fare, (stasera pesce e un buon bianco, magari al porto conosco gente nuova oppure mi spalmo sul letto tra le lenzuola fresche!) fiero di non dover nulla a nessuno. In pace con la mia coscienza e sereno nel futuro… avanti così, bravo me!

Ho imparato ad ignorare quelle critiche che da anni mi tirano appresso le cosiddette “brave persone”! E la mia immaginazione parte con un trionfale che alza il tono dei miei pensieri alleggerendomi dal concreto peso del quotidiano.

Ma il quotidiano è bastardo.
Le piante sono bastarde.
Le piante in mezzo alla strada… quelle sono bastardissime, o almeno ci provano!

Una frazione di secondo prima di impattare contro un enorme vaso antracite pieno di steli d’erba altissimi, mi scanso velocemente e sorrido compiaciuto dei miei riflessi:

“Ah ah, volevi fregarmi!” dico sottovoce divertito.

Una voce cristallina dietro di me richiama la mia attenzione. “Shit, it looked almost done!”

“I told you, after four, the fifth dodges! Now Money please” risatina.

Mi volto sentendomi preso in causa e vedo due donne, una bionda con i capelli riccioluti e gli occhi chiari, sulla quarantina, ben tenuta e ben vestita, che incassa qualche moneta da un’altra che gliele porge, morettina, più bassa di lei e senza età, evidentemente non europea.

Si trovano in piedi fuori da una galleria d’arte e ridono guardandomi divertite; la bionda aggancia il mio sguardo e mi dice:

“lei è il quinto… ho vinto io!” e ride sonoramente.

L’altra rientra borbottando nella galleria.
La seguo con gli occhi, stavolta dietro le lenti scure e vedo un quadro esposto di un tizio con cappello a cilindro troppo alto su un volto severo e una damigella accanto, che stona per i tratti poco europei, negli abiti ottocenteschi. La donna bionda nota il mio interesse e mi invita ad entrare per vedere le altre opere esposte.
Capisco che il gioco della scommessa e il commento a voce alta servono per attirare i clienti e mangio la foglia.

Una decina di quadri senza senso storico, dipinti con dovizia di particolari ma poco attraenti, riempiono boriosamente le pareti. Al centro della stanza un abito femminile ricamato poggiato su un manichino, sembra essere uscito da un dipinto, stanco di stare fermo lì. Poco più distante un abito maschile in un leggero inchino sembra invitare la donzella per un ballo.

“Questi?”, dico alla donna bionda fingendo interesse (voglio andare a sedermi in spiaggia ma mi sembra scortese… prendo qualche minuto con l’intenzione di svincolarmi il prima possibile).

“Lei…” sorride, indicandomi due occhi neri che spuntano sopra un sorriso imbarazzato dietro un tavolino pieno di stoffe. “Lei è l’artista che crea quadri viventi. Purtroppo in questo spazio così piccolo non rendono come dovrebbe, ma se è interessato questa sera dalle 18.30 c’è un apericena in costume organizzato da noi e la nostra artista farà una piccola performance. Se poi volesse regalare un bell’abito da damigella a sua moglie, ne possiamo parlare…” conclude porgendomi il biglietto da visita della galleria e il volantino dell’evento serale.

Sto per rispondere che non ho moglie ma in fondo a loro cosa importa, devono vendere; ringrazio, dico che ci penso e me ne vado.

Con i foglietti tra le dita mi dirigo verso il mio albergo poco distante, per prendere due cose e andare in spiaggia. Il sole di fine maggio mi accompagna. La testa riprende sottovoce un brontolio che non voglio ascoltare (i clienti, le scadenze…che coioni, sono al mare basta così!), dò invece retta a quello dello stomaco che improvvisamente si fa vivo ricordandomi che non ho pranzato.

Prendo qualcosa da asporto, mangio continuando a camminare e arrivo in stanza.
Invece di uscire subito mi butto sul letto come mamma mi ha fatto a guardare un po’ il cellulare. La spiaggia non scappa. Poi mi accorgo che sto rispondendo a messaggi di lavoro, perciò metto occhiali, orologio e telefono sul comodino e chiudo un istante gli occhi.

Polo e pantaloni fanno compagnia alle scarpe e al resto in fondo al letto sopra al trolley mai del tutto disfatto. La solitudine tutta per me per tre meravigliosi giorni.

Chiudo gli occhi supino, accarezzandomi il petto seguendo il ritmo del respiro lasciando scorrere l’immaginazione senza freni.

Il rumore del mare in lontananza, qualche motorino, le voci dei pochi passanti… non è il solito albergo silenzioso, ma per tre giorni scarsi va bene così. Metto un timer di un’oretta con della musica sweet swing a basso volume.

La mia mano continua ad accarezzarmi partendo dal petto fino a sfiorare il piacere ma senza troppa fretta; l’altra, si sfila da sotto il cuscino e mi accarezza svogliatamente i capezzoli mentre dalla finestra socchiusa ed in penombra entra il profumo del mare. Alla fine mi abbandono del tutto al sogno.

Finalmente in spiaggia.
Un paio di bicchieri alti, bollicine che esplodono festanti sulla superficie, ombrellini caduti sul tavolino, risate dalla gente distante, sole, profumo fresco e vagamente aspro di fiori con punte di zucchero che entra nelle narici fino a solleticare la gola; gli occhi socchiusi e il volto appena reclinato verso l’alto per poter assaporare meglio l’aria di mare che mi circonda, mentre con le dita lentamente sfioro il fondo della flûte fino a scendere sul tavolino ed incontrare la mano di chi mi sta difronte in silenzio.

Il mio viso ritorna piano a fronteggiare il mondo, espiro lentamente e lentamente riapro la vista.

Mi guarda dritto negli occhi e un buio tiepido, come una notte di piena estate, mi entra nell’anima. Non chiede permesso e mi pervade fino a scavare nel profondo. Mi eccita e mi terrorizza insieme come un tao che vortica senza pace.
Stringo leggermente le dita che mi accarezzano e poi mi paralizzo come se un fuoco improvviso stesse bruciando attraverso l’esofago fin giù nel mio profondo più nascosto, mi manca il fiato. Resto con la bocca semi aperta ma non esce nemmeno un suono. Le dita sottili rispondono alla mia stretta al riparo degli ombrellini imperturbabili.
Un bicchiere si sposta bruscamente, il nettare dorato si versa sulle nostre mani; per riprendermi dal piacevole tormento le sollevo, avvicino alle mie labbra ancora socchiuse il suo palmo umido e lo bacio dolcemente pulendone l’impertinente goccia; il suo pollice furtivo mi ruba una carezza sul lato della bocca. Non so che espressione ho: se sorrido, se sono serio, felice o spaventato… ma tento di mettere a fuoco il volto che mi sta di fronte e un sorriso dolcemente imbarazzato su un viso senza età mi abbaglia come una lama affilata che riflette i raggi del sole mentre ti pugnala dritto sullo stomaco. D’istinto scappo, con un gesto scoordinato, dalle dita che mi accarezzano e rovescio il mio bicchiere che fa un rumore sordo, sbagliato.
Una donna, seduta in un tavolo vicino al nostro, con gli occhi color dell’acqua e una lunga treccia bianca che sembra la spuma del mare, si volta, mi guarda dritto e mi sorride tenendo un fiore rosso tra le dita.

La mano dolente, che ha preso lo spigolo del comodino, si accoccola sulle mie labbra come per ricevere il “bacino sulla bua” ma non sa di Franciacorta; gli occhiali, il cellulare e l’orologio sono in terra e impreco nella solitudine della stanza guardando l’applique antincendio sul soffitto, che mi osserva indifferente lampeggiando di rosso mentre mi massaggio il dorso del palmo sbattuto.

Mi metto a sedere, il cuore confuso non ha ancora deciso se batte per il sogno o per il risveglio improvviso, in ogni caso mi infastidisce.
Raccolgo gli occhiali, il cellulare e l’orologio, ne guardo distrattamente lo schermo che si illumina mostrando immagini di rito. Butto tutto sul letto e mi alzo per andare in bagno a lavarmi il viso forse per cancellare quell’ultima immagine non richiesta.

Mi guardo riflesso nel piccolo specchio scarno.
Porcatroia! Sussurro mentre mi asciugo.

Torno verso l’orologio, guardo l’ora: le 17 e 45, devo pensare a cosa mangiare stasera visto che per tre giorni ho prenotato solo la prima colazione. Mi faccio una doccia e mi preparo per godermi una serata al mare in un buon ristorante: pesce, vino bianco e RELAX… magari un libro o qualche incontro casuale per scambiare due chiacchiere è sempre stimolante… si vedrà.

Mentre l’acqua calda scorre sul mio corpo facendo scivolare la schiuma a terra, chiudo istintivamente gli occhi, rivolgendo il viso verso il getto che scende dall’alto e vengo nuovamente investito da quel buio caldo e profondissimo che insieme alla lama sottile mi ha sconvolto poco prima. Riempio le mani di acqua e me le passo velocemente sul volto come per svegliarmi del tutto e mi sbrigo a uscire.

Con un asciugamano bianco gettato sulla spalla, vado verso la valigia sparsa in terra vittima del sonno agitato e recupero abiti e un cardigan da legare in vita. Mentre sistemo tutto mi capita tra le mani la brochure della performace serale proposta dalla galleria qualche ora prima. Leggo “apericena alle 18.30” e ignoro tutto il resto. Una cosa vale l’altra basta prendere una boccata d’aria.

Lascio la chiave della stanza all’usciere e chiedo fino a che ora è consentito il rientro.
“In questa stagione non c’è il servizio notturno, ma se rientra dopo le 23 basta digitare questo codice sul tastierino esterno e si apre la porta della reception.” e mi indica un foglietto attaccato al bancone con 4 numeri sopra. “La colazione tra le 8 e le 10, poi si chiude!”
“Grazie” e faccio una foto al codice.

Mentre cammino ho una mano sullo stomaco, mi rendo conto che sono ancora agitato per il sogno ma cerco di non dargli peso e l’aria calda e profumata che mi investe una volta all’aperto, mi pulisce da tutti i turbamenti ricaricandomi di serenità.

Prima cosa che faccio è girare per il porticciolo e sbirciare qualche locale che propone pescato fresco: ne individuo un paio (penso che tornerò a visitarli tra una mezz’ora scarsa) e nel frattempo mi incammino senza pensare verso la piazza della fontana, dove oltre al maledetto vaso in mezzo ai piedi, si millantava un apericena con spettacolo…

La luce del giorno è ancora forte, le barche riposano poco distanti e un vociare di donne proviene da un angolo un po’ riparato della piazza.
Improvvisamente parte una musica forte, un fischio e un breve grido. Parecchi passanti sobbalzano e una voce maschile esprime il suo dissenso in lingua locale.

“Ehmm chiedo scusa… – poi sussurrando: il riverbero, toglilo che sembro il papa! – Buonasera a tutti! Tra qualche minuto inizieranno i balli in piazza, chi volesse partecipare ci sono ancora dei posti disponibili! Si comincia alle 19.00”. Poi ripete lo stesso messaggio in più lingue.

Balli?! Ragazze succinte in abiti sgargianti e musica energica prendono piede nella mia immaginazione così mi dirigo verso l’angolo nascosto e vedo una montagna di abiti eleganti, cappelli a cilindro e pizzi ammucchiati dietro ad un paravento improvvisato con transenne alte e grossi foulard scuri.
Disilluso ma stuzzicato sbircio qualche secondo.

“Vedo che ha accettato l’invito!”

La voce squillante dietro le mie spalle mi fa sobbalzare e mi sfugge un improperio tra i denti. E’ la donna bionda e riccia che mi ha dato l’invito qualche ora prima e cerca di convincermi ad indossare un abito ottocentesco per partecipare alle danze.

“Ma io veramente ero solo passato per caso…”

“Dai non faccia il timido! ci mancano delle coppie! Porti anche la moglie!” e mi ficca in testa un cappello a cilindro di raso e cartone.

Con gli occhi al cielo per l’insistenza, che non mi ha mai affascinato, rispondo seccato che sono da solo e nell’abito proposto non ci entrerei neanche con 20kg di meno!

“If you want…” una voce timida spuntata da non so dove mi porge un altro abito, decisamente di taglia superiore a quella di un ballerino dandy anoressico di un metro e 70.

Tra le mani tiene una camicia bianca con pizzo vistoso ma non troppo e dei pantaloni scuri stretti sotto il ginocchio mentre lei indossa un vestito con larghe balze sovrastanti dalle tonalità tra il verde scuro e l’azzurro, con pizzi bianco sporco che ricordano la spuma delle onde. Un seno discreto su una pelle abbronzata cerca di farsi notare con fatica fasciato in una scollatura squadrata da un fiocco di raso e un ibisco rosso incastrato tra i capelli neri strettamente attorcigliati sulla testa, pende impertinente sul lato destro del viso. Gli occhi sono scuri come la notte mentre un sorriso luminoso ed imbarazzato accende il suo volto.
Resto impietrito con un cilindro storto in testa e la sensazione sperimentata poco fa di una lama lucente che mi trapassa lo stomaco.
Il primo istinto è fuggire. Ma sono bloccato, non so cosa fare, non mi è mai successa una cosa simile. Di solito trovo sempre l’escamotage che mi tira fuori dall’empasse… ma forse, se son qui a fare 3 giorni di relax ci sarà un motivo, no? La stanchezza, ovvio!!

Mentre esploro tra il curioso e l’infastidito questa nuova sensazione di impotenza di fronte agli eventi, lei mi indica un altro paravento e mi porge una scatola con lucchetto e chiave. “For your personal belongings, you can change your clothes over there… if you want…”
Una mano mi spinge delicatamente verso il paravento: “Non se ne pentirà, vedrà!!” dice la bionda porgendomi uno scontrino con un 190kn scritto sopra.

Senza sapere come, mi ritrovo dietro al paravento con abiti d’altri tempi tra le mani che profumano di vetiver da uomo misto ad un lontano retrogusto di antitarme da supermercato.
Nella solitudine del luogo appartato riprendo le redini del presente: “Sono qui per staccare la spina?! Perfetto, accetto la sfida! Così volete che faccia la mia parte per 25 euro? e sia!” borbotto sottovoce e mi vesto con l’energia di chi è disposto a vincere senza lasciare superstiti.

Esco impettito come un lord inglese con il cappello a cilindro ben piazzato e le code dell’abito sventolanti alla perennemente presente brezza marina.

Peccato solo per le scarpe, quelle da tennis stonano un po’, ma non sarà questo a fermarmi dallo sbaragliare il nemico. Sorrido tra me e me cercando tra la gente un’indicazione su come muovere il prossimo passo.

Senza tregua la donna bionda mi trascina delicatamente al centro della piazza dove mi accorgo esserci un nutrito gruppo di lord e donzelle alternati in un gran frusciare di abiti e ilarità imbarazzate in molte lingue diverse.

Mi infilano tra due signore, una dall’abito con tonalità rosa antico e l’altro sul giallo sole.
Hanno entrambe un bel seno che riempie le scollature di pizzo e dei ricami nei capelli legati. La gialla sembra più giovane, l’altra una mia coetanea. Guardo gli uomini, diversissimi per etnia ed età e controllo le loro calzature… chi più chi meno sono messi come me. Tutti i partecipanti indossano dei guanti, anche io… indossati senza nemmeno accorgermene… assurdo con il caldo, ma comodi! Sorrido, scrollo dalle spalle la tensione e si va in scena.

La voce leggera arriva dalla mia sinistra, qualche donzella più in là. Sprofondata nel suo abito verde vedo appena spuntare un fiore di ibisco rosso che si muove a ritmo delle parole che usa per spiegare cosa dobbiamo fare. Parla inglese senza amplificazione, mentre la bionda col microfono alle mie spalle traduce in tre lingue.
Sono concentrato sulla coreografia.

“In cerchio, un passo avanti e uno indietro senza muoversi (mi raccomando: le damigelle sfrutteranno il movimento per far ondeggiare le gonne – sorrisino sommesso del pubblico-). poi ci si lascia le mani e le donne con una piroetta si sposteranno alla destra dell’uomo andando a riformare il cerchio. Gli uomini fermi accompagneranno il movimento delle dame fornendo loro sostegno con le mani durante il passaggio quando saranno rivolte verso di loro. Facciamo un giro di prova datevi le mani, unite il cerchio… e ora… Un… due… tre…”.

A quelle parole una decina di donne presero a dondolare le gonne colorate con cinguettii divertiti e gli uomini, incastrando un po’ i passi, sventolavano le code della giacca.
Finito il giro di prova miss vestito verde batte le mani divertita producendo un rumore buffo, attutito dai guanti bianchi. Fa un cenno in direzione del microfono e parte un valzer viennese.

Vengo immediatamente trascinato dal gruppo: addio controllo e benvenuto divertimento! Dopo i primi passi scombinati la musica culla tutto il gruppo in una sfilata di vestiti e risate come fosse un film. Mi passano davanti le donne più disparate: rosse, more, bionde e brizzolate, perfino una bambina di 5 o 6 anni che nel suo abitino rosa confetto danza con la mamma e il papà.
I guanti impediscono il contatto fisico e questo aiuta molto a superare l’imbarazzo del caldo che, vista la stagione e il movimento, in quegli abiti si fa sentire.

Finisce il primo valzer, si fa una piccola pausa senza rompere il cerchio e un ragazzo in abiti ottocenteschi passa tra le damigelle a portare ventagli e una brocca con l’acqua (gentilmente offerta dal localino che finanzia anche l’aperitivo post spettacolo).

Ancora esclamazioni di meraviglia e risate coinvolgono tutti, che nel frattempo cercano di conoscersi e comunicare come si riesce.

Finita la breve sosta, la voce inglese riprende la sua spiegazione con la traduttrice che fa eco: “Ora faremo un altra piccola prova per aggiungere un pezzettino alla nostra danza: quando la musica cambia di ritmo e la nostra istruttrice, quella in abito verde (lei fa ciao ciao con la mano piccola), batterà le mani, gli uomini terranno per le mani la damigella che hanno di fronte dopo l’ultima piroetta e si metteranno in una abbraccio cortese facendo dei passi laterali verso il centro del cerchio. Le donne al seguito, mi raccomando, assecondate gli uomini facendo dondolare le gonne!! Proviamo solo un abbraccio cortese…”
E tutti si mettono in coppia con la donzella che hanno alla loro sinistra, fermandola mentre fa il giro per passare dall’altro lato. Restiamo tutti immobili così e Vestito Verde passa a sistemare le mani sulle spalle delle coppie. Quando arriva a me, resto impettito tenendo lo sguardo fisso sulla mora che ho davanti in abito color vinaccia, alta poco meno di me, probabilmente pochi anni meno dei miei, occhi blu e splendido sorriso in un incarnato irlandese e perfettamente bilanciata nella scollatura tra i pizzi.

Funziona, mi diverto e ogni pensiero è svanito.

Parte la musica, ora si fa sul serio e nella mia testa mi immagino se mi dovesse capitare la piccolina tutta rosa che si atteggia come una principessa Disney. Rido teneramente al pensiero.

Perso lì, ancora col sorriso sulle labbra assecondato dai partecipanti che chiacchierano divertiti, sento davanti a me le mani che battono tre volte, la musica cambia ritmo e mi ritrovo prepotentemente tra le mani un abito verde che mi arriva poco più su dello sterno, un fiore rosso che mi sventola sotto il naso e due occhi scuri puntati sui miei. Ho ancora stampato in viso il sorriso di pochi istanti prima, mentre mi immaginavo accovacciato a far ballare una reginetta mignon e Vestito Verde risponde al mio sorriso. Una fitta allo stomaco mi fa stringere le mani ma tra le mie dita ci sono le sue che si divincolano schiacciate; una impercettibile smorfia si muove sulle sue labbra. Una frazione di secondo ed il tempo non esiste più. Torno al sogno, a quelle dita che stringo tra i calici di champagne ed ombrellini ed inciampo come un ebete.
Un piccolo passo falso, nessuno si accorge di niente, tranne Vestito Verde che mi sorride di nuovo mentre io accenno ad un sommesso “Sorry”.

Cambia di nuovo il ritmo del valzer e ci ritroviamo a scambiare le coppie con i passi ondeggianti rivolti verso il centro del cerchio.
Rivedo tutti gli altri, il mio stomaco smette di essere contratto e riprendo a divertirmi. Passiamo circa un’oretta tra pause e balletti.
Oltre a vestito vinaccia, la mia più grande fans è la piccolina che durante il ballo, in uno degli scambi, ha ricevuto in dono da me il cilindro che spesso mi scivolava via. Ora tra noi c’era una principessina formato pocket con un cilindro nero sulla testa in braccio al suo papà.

Vestito Verde si porta al microfono e fa i ringraziamenti di rito, invitando tutti a cambiarsi senza fretta e gustare l’apericena che intanto si è materializzata in un’altra zona della piazza, presso il locale che la offre.

Inizia a formarsi una coda vicino ai paravento, scopro che vestito vinaccia è accompagnata e visto che “non c’è fretta” io mi dirigo dalla parte opposta, zona buffet ancora intonso.

Riempio un piattino con pesciolini croccanti e un paio di tartine, prendo un bicchiere di bianco e qualche tovagliolino per rimediare in caso di incidenti. Col calice in mano cerco un posto a sedere in attesa del mio turno per uscire dal lord inglese e rientrare nei panni più comodi della polo.

Trovo un tavolino libero e mi accomodo, rigidamente come avessi un palo nel culo per via della camicia troppo attillata e dei pantaloni stretti in vita e sui polpacci. Sistemo i tovagliolini che sopra hanno dei fiori rossi dipinti e mi passa davanti agli occhi il flash del primo pomeriggio con la signora dalla treccia bianca e il ragazzo. Il pensiero mi amareggia un po’ ma scivola via in fretta perché la signora bionda si avvicina a me con una tartina di salmone in mano e un bicchiere con qualcosa nell’altra. Mi chiede se aveva ragione, le dico di sì, in effetti mi sono divertito.

“Questa ragazza è favolosa! E’ il secondo anno che viene qui in tarda primavera e ogni volta è un successo! Peccato che venda poco.”
Annuisco fingendo interesse e mi aggancio al discorso chiedendo come funziona per i 25 euro da pagare.

“In euro o in kune? Comunque li dia pure a me, poi le faccio una ricevuta mentre si cambia”.

Chiacchieriamo un po’ del più e del meno e vengo a sapere che Vestito Verde insegna saltuariamente qualcosa come “alta moda” in una scuola in Austria, ma lei vorrebbe fare un corso a Firenze o a Milano però i costi sono proibitivi, così cerca di racimolare spiccioli durante l’estate. Scopro che è nata in Polinesia ma probabilmente da genitori misti perché è più chiara di pelle per essere della zona. Mi racconta che la situazione per le donne che vivono nei villaggi di pescatori non è delle migliori ma lei è stata fortunata perché i suoi genitori le hanno permesso di studiare e trasferirsi all’estero.

“Forse il papà è inglese o americano… chi lo sa… ecco parli del diavolo…”

Vestito Verde si avvicina ondeggiando nel suo abito, comunicando che lo “spogliatoio” è libero se voglio cambiarmi. E’ evidente che ci tiene ai suoi vestiti dati in prestito.
Mi volto e vedo il buffet preso d’assalto da una massa di turisti affamati che poco prima erano dame e cavalieri… cruda realtà. Probabilmente faccio una smorfia di disgusto, mi rigiro verso Vestito Verde e lei sorride annuendo sottovoce “Agree…” sorridendo e ondeggiando la testa.
Noto il fiore rosso, mi sale un momento di tensione e resto involontariamente incollato a quegli occhi profondi ma stavolta niente pugnale nello stomaco. Lancio uno sguardo furtivo: il bianco nel bicchiere è finito.

La donna bionda ci guarda e rompe il ghiaccio. “Mi segua: così la faccio pagare e le dò la scatola con i suoi vestiti.”

“Grazie!”

Mi stacco di malavoglia dallo sguardo di Vestito Verde e seguo la donna bionda, ma a pochi passi dietro di noi Vestito Verde ci segue, probabilmente con l’intenzione di mettere via il mio abito.
Ci fermiamo tutti e tre al tavolino per pagare e mentre frugo nella scatola dei miei vestiti per cercare il portafoglio arriva un tipo tutto trafelato con macchina fotografica-pro penzolante sul collo.

“Miss, sorry for late!!!!” ansimante chiede scusa del suo ritardo e chiede se può ancora fare qualche foto per il giornale locale in modo da pubblicizzare l’evento della sera successiva.

Vestito Verde si guarda intorno e spiega che si sono cambiati tutti ormai ma il fotografo insite indicandomi.
Ed ecco che qualche secondo dopo, mi trovo mano nella mano a Vestito Verde per fare un servizio pubblicitario per la galleria della donna bionda.

“Guardatevi di fronte, come nel balletto… mi scusi signore sarebbe così gentile da raddrizzare un po’ quel fiore smorto che casca dalla testa dell’artista? Grazie”

In effetti Vestito Verde ha l’aria stanca; dolcemente gli infilo la mano tra i capelli per sistemare il fiore cadente.
Mi percorre ancora un brivido: “Segui il fiore rosso…”

Un profumo dolcemente pungente di calda estate mi risale dalla mano fino allo stomaco e trattengo un secondo il fiato in una smorfia sorridente mentre lei dolcemente con i suoi guanti mi raddrizza il colletto senza staccare i suoi maledetti occhi dal mio animo.

Cerco un cambio di visuale e incrocio la donna bionda di fianco al fotografo che borbottano cose. Non gli do retta finché il fotografo, complice, ci dice di andare al tavolino vestiti così per fare qualche foto al locale che offre il buffet.

Mi arrendo, mi diverto, capisco il gioco e prendo un altro calice di bianco e faccio il gesto di porgerlo alla damigella con un leggero inchino, tenendo un invisibile cilindro nell’altra. Poi mi rimetto dritto indossando il cappello invisibile e spostando la sedia per farla accomodare.

“Siete perfetti! Ancora qualche scatto per favore!” Si è vero, siamo perfettissimi… ma che cazzo…

Scopro che lei parla un po’ di italiano, che lo sta imparando per venire a studiare da noi e, vista la situazione mi chiede se mentre ci fanno le foto mi va di fare un po’ di conversazione… invitando con circostanza anche una mia eventuale moglie, che comunico di non avere… Ovviamente mi va.

Le dico che lavoro faccio, che sono qui in vacanza per staccare un po’.
Nel frattempo scende la sera, il fotografo è andato via da tempo e noi continuiamo a chiacchierare e smangiucchiare qualcosa mentre al nostro tavolo arriva un pellegrinaggio di gente che ringrazia per la serata o semplicemente curiosi.

“Mayly, I have to close soon, it’s not yet high season that I keep it open at night… I’ll leave you the keys so you can take your time, I’ll take the cash register away. Good evening, see you tomorrow. – poi girata verso di me – Visto che ne valeva la pena? Buona serata!” e ride voltandoci le spalle in uno scialle ricamato di fiori colorati sul rosa. Un altro dejà vue… brrr

Vestito Verde ringrazia, si alza per salutare ma la signora è già lontana. Non sono abiti comodi, la sedia si ribalta indietro e lei la guarda in piedi sconsolata sbuffando…
Resto nella parte e faccio il cavaliere rialzando la sedia e invitandola a sedere.

“Ti chiami Mayly quindi?”

“Si e sono affamata! Se non hai altro da fare ti va di accompagnarmi a cena? così ne approfitto ancora un po’ per parlare italiano”.

Non mi aspettavo un gancio così diretto ma in effetti forse non volevo altro (mi ero detto: pesce, magari bollicine e conoscere gente nuova..) e la seguo verso la galleria vuota.

Inizia ad esserci un po’ di freschino. La aiuto a portare i paraventi all’interno della galleria e le chiedo dove sia la scatola con le mie cose per cambiarmi.

Mi indica un posto e mi dice che posso mettermi dietro un pannello di quadri, lei non guarderà… Io sorrido e dico, con voce impostata da lord inglese, che se fossimo in estate nessuno si vergognerebbe di girare in mutande… Complice il vino, ridiamo assieme, lei mi fa il verso fingendo scalpore e si piega un po’; le falde del vestito urtano un pannello che dondola paurosamente verso la sua schiena.

Fulmineo lascio cadere la scatola sul tavolo e sollevo la donzella dai fianchi scansandola: la pensavo più leggera ma con tutto quel vestito addosso… dissimulo indifferenza e preoccupazione.

“Tutto ok?”

Intanto il pannello cade ed un quadro si strappa. “Oh no! Si è rotto, mi spiace…”

Lei guarda giacere in pezzi la cornice mentre io la tengo ancora per i fianchi, poi mi fissa nuovamente nell’animo e dice: “Tanto era brutto” e scoppia in una risata cristallina.

Mi contagia paurosamente, forse ci manca ossigeno, fasciati in vestiti scomodi e rigidi in piedi, ma ridiamo tanto e ci accovacciamo a terra per sistemare i cocci.

“Adesso noi siamo quadri, io sono il fiore e tu pique-nique di Monet!” e ride di nuovo.

Poi mi dice che il suo nome vuol dire fiore selvatico o qualcosa di simile, in inglese “wild” e per intero è Maylea.

“Il tuo invece? In effetti non so come ti chiami” e ride di nuovo “Ah, non fare caso al ridere, un po’ stanca e un po’ di vino e controllo poco di me e sono stanca da decenni!” e di nuovo sorride
cercando di darsi un contegno.

Poi con i pezzi di cornice rotta in mano, riprende la sua espressione professionale e li adagia con cura sul tavolino.
“Per fortuna non c’è vetro! Sorry non ho neanche chiesto, tu non fatto male giusto?”

E mi guarda dritto in volto apprensiva. Ogni sguardo è un passo più giù dentro di me, come se avesse tutte le chiavi del mio profondo; ogni sorriso un sacchetto di zavorra che si schianta al suolo lasciandomi volare. Cosa diavolo mi succede…

“Marco Piacere, io mi chiamo Marco e credo che abbia a che fare col dio Marte, ma in Italia poco importa il significato dei nomi ” e le tendo la mano, che resta vuota qualche secondo per poi rientrare imbarazzata a cercare conforto in una tasca che non c’è, finendo per strisciare sul lato del pantalone.

“Ok Marco, molto piacere, ora aiutami to out di questo abito per favore, basta che scivoli via la cerniera sul dietro… è un po’ nascosta, non corretta per 800 ma sono abiti di teatro, non troppo veri no?” Quindi si scioglie i capelli neri lisci e lunghi, butta il fiore rosso in un angolo e si gira verso una parete di muratura mostrandomi la schiena avvolta nell’abito, tenendo la testa fra le braccia incrociate.

“Non usi troppi giri di parole tu?”

“Giro le parole? Non so cosa vuol dire che giro le parole ma intendo che per oggi sono stanca di essere principessa e voglio essere di nuovo donna normale e respirare di nuovo, forse sono più fat, come si dice? Ma qui dentro non ci sto più come anni da ragazza”.

Mi rendo conto che sono imbalsamato anche io nella giacca e nella camicia:

” arrivo subito”, mi tolgo la giacca e sbottono un po’ la camicia per togliere di mezzo il volant ingombrante.

Poi mi rivolgo verso lei che respira appoggiata al muro con la testa fra le braccia, calma a gustarsi la posizione distesa dopo una giornata faticosa. Prendo la ciocca di capelli che si è appoggiata sulla cerniera e senza pensare, li annuso prima di spostarli delicatamente di lato sfiorandole le spalle nude.

Faccio scorrere la cerniera lentamente non sapendo cosa ci sia tra la zip e la pelle e per evitare danni o eventuali intoppi, ma gustandomi anche la particolare occasione.

Fine corsa e da sotto le braccia esce di nuovo un grazie. La sua mano si è staccata dal muro e regge la scollatura per non far scivolare l’abito in terra.

Resta immobile qualche istante, la schiena si gonfia un po’ per un respiro profondo e poi solleva il volto dalle braccia guardando dritto davanti. Chiude gli occhi e scrolla leggermente la testa in modo che i capelli scivolino dal viso fin sulla schiena nuda.
Nelle mie dita ancora il profumo dolce e la pelle liscia mi fanno inspirare e chiudere un istante gli occhi sperando di non essere notato. Ma fallisco miseramente.

“Monoi oil… ricorda la mia terra, lo porto ovunque e sento meno sola nei viaggi”.

“Scusa… ma è così intenso, mi sono lasciato trasportare…”

“Trasportare? Cosa significa? Andiamo a cena?” e si volta tenendosi il vestito con una mano e sistemandosi i capelli con l’altra, guardandomi ancora maledettamente negli occhi.

Mi viene da sorridere alla domanda e lei ride con me non capendo… “Diciamo che non è carino annusare i capelli della gente..”

“Ah beh, allora non è carino anche alla mia età vestire come damigella dell’800 e che mi apre l’abito uno sconosciuto in una galleria d’arte, chiusi dentro, a migliaia di chilometri da casa…”

Ci guardiamo e stavolta io indago il suo animo senza permettere ai suoi occhi di entrare nel mio…sciogliamo la tensione scoppiando a ridere e le rubo una ciocca di capelli portandomela al naso come se fossero baffi, annusandoli di nuovo.

Un barattolo calciato per strada ci riporta alla realtà.

“Ho fame! Cambiamo e andiamo a mangiare?”

“Agli ordini” e riprendo la scatola con i miei vestiti.

Lei è piccolina e i pannelli dei quadri bassi sono ottimi. Si nasconde dietro alla perfezione… ma non sono abbastanza alti per me che riesco a vederla di schiena mentre fa scivolare giù il vestito verde.

Una pelle ambrata, appena stropicciata dalle pieghe di un corsetto troppo stretto, dipinge una schiena armoniosa, non magrissima ma liscia e profumata.
Un movimento brusco mi fa ritrarre dietro il mio pannello e con finta indifferenza azzardo un “Tutto ok?”

“Si… nessun pannello caduto stavolta” risponde ridendo, “Solo un vestito con troppi ferri dentro”.

Mi sbrigo a togliere la camicia recuperando il tempo perso a spiare di nascosto e mi trovo a vedere il suo seno libero riflesso nel vetro di un quadro appeso su un pannello obliquo. Bello da togliere il fiato! Resto bloccato a metà con i pantaloni mezzi tolti e le scarpe ancora sui piedi. Barcollo rischiando di fare altri danni, torno presente e mi sbrigo a cambiarmi d’abito.

Negli occhi l’immagine dell’abito verde arrotolato ai suoi piedi e due ciocche nere che sfiorano i suoi capezzoli… Mi si contrae lo stomaco… mi imbambolo di nuovo, inizio ad essere un po’ stanco anche io e gestisco poco… si, forse è meglio se andiamo a mangiare qualcosa.

Le porgo i vestiti piegati come potevo e lei butta tutto in un baule assieme al suo verde, poi prende da un cassetto dei foglietti con scritto VETIVER ANTITARME e li butta nel cassone con gli abiti e chiude tutto con un gran fracasso di legna vecchia.

Ci fronteggiamo ancora, occhi negli occhi, silenziosi, imbarazzati e fieri di nuovo nei panni del XXI secolo. Fuori ora è buio.

La sensazione forte, come se ci conoscessimo da sempre, e’ qualcosa di lontano nel tempo e sento che lo percepisce anche lei, mentre mi scava dentro l’animo come per cercare risposte.
Il fiore rosso giace silenzioso in un angolo: sembra osservarci.

“Chi sei tu veramente?” mi sfugge un pensiero a sottovoce mentre le sposto i capelli sfiorandole il collo e impassibile lei risponde seria come se fosse una domanda qualsiasi

“IKE, KALA, MAKIA, MANAWA… e altre cose così…”

La sua voce è leggera, mi accarezza il viso come se ne studiasse i tratti per un dipinto. “Ike..cosa?” dico divertito da quelle parole strane

“IKE è realtà che non esiste, ognuno si crea suo mondo, KALA: non ci sono limiti al creazione perchè noi siamo tutto, MAKIA è l’energia che va dove ci interessa e MANAWA dice che è adesso il moment of power… and on and on…”

Il suo sorriso si apre sulle labbra serie, i suoi occhi mi mandano in tilt la ragione, il suo profumo mi ricorda la pelle ambrata e setosa e i suoi capelli scendono impertinenti sul suo seno coperto da una maglietta.

“L’ultimo, come si chiama? mi piace…” e sorrido un po’

La mia mano scivola dietro la sua nuca, non posso fermarla, lei passa le sue dita dietro la mia e si aggrappa alzandosi leggermente sulle punte.

“MANAWA” mi sussurra mentre sue labbra si avvicinano e il suo profumo mi penetra fino in gola. Vedo un ultima volta la fessura dei suoi occhi scrutarmi fino a chiudersi e lasciarsi andare al momento.
Non so perché ma non riesco a fare lo stesso. Continua ad assillarmi il ricordo di quello stupido sogno del pomeriggio. Esito per una frazione di secondo aspettandomi la pugnalata allo stomaco, invece sento una mano che scivola sulla mia polo mentre le sue labbra si lasciano inumidire dalle mie.

Appoggio una mano sulla parete per mantenere l’equilibrio ma quei maledetti pannelli intralciano di continuo e rischio l’ennesimo disastro.

Lei ride… “Tanto è brutto anche quello”… mentre io cerco di salvare la situazione.

“Andiamo fuori di qui ti prego! O facciamo crollare tutto e la signora bionda poi mi mena!” dico io con fare piagnucolante ed ironico.

“Ma no, Kristina è buona, comunque si, meglio uscire”.

Lei si atteggia come se non fosse accaduto nulla. Io cerco di dissimulare ma sono frastornato, da un lato vorrei lanciarmi e dall’altro vorrei una doccia fredda… mi affido alla ricerca del ristorante.

“Hai qualche idea dove mangiare?” le chiedo.
“Si, dove servono qualcosa di caldo per favore”
“Ottimo”

Prendo il cellulare e mi accorgo che è spento e sbeccato su un angolo, forse la caduta dal comodino. Appena funziona cerco un locale un po’ intimo che faccia pesce e serva del buon vino.

Lo trovo a pochi passi da noi, fronte porto, ci accomodiamo.

Butto alle spalle le sensazioni contrastanti e mi dedico alla conversazione.

Sono anni che non volo così leggero… forse il vino, l’atmosfera, il suo accento sconnesso che continua a raccontarmi di danze in abiti ingombranti e sale barocche in Austria… Oppure di film e libri, perfino con lo sport riesce a reggere l’argomento, parlandomi di quello del suo paese e non mi stanco di sentirla. Non c’è argomento che non sappia trattare con un minimo di senno.
Ridendo e scherzando, è notte inoltrata, il vino è finito ed inizia ad esserci troppo freddo per passeggiare.

“Abiti lontano?”

“No, laggiù c’è il mio albergo, hai freddo?”

“Si e sono stanca, saliamo da te. Non mi va di tornare a casa stasera”

O sono ancora nel mezzo del sogno di prima o sono morto e sono in paradiso, non c’è altra spiegazione.

“IKI, KALA e il resto ricordi?”

“Come?”

“IKI, tu crei realtà, KALA non c’è limiti… io non mi metto limiti, se non faccio male a nessuno, vivo con spirito della mia gente… nulla di più. Prendo quello che mi fa stare bene perché così l’energia viaggia sana nel mondo e io ora ho bisogno di stare bene… e ora sto bene… andiamo?”

Ha un decoder per i miei pensieri! La cosa mi spaventa sempre di più… viene da chiedermi che prezzo dovrò pagare per tutto questo. La guardo fissa, un po’ tremante per l’aria fredda, la sollevo da terra come un piccolo manichino, le scaldo le labbra con un altro bacio. Lei si aggrappa a me circondandomi la vita con le gambe e ridendo ripete “MONKEY-TIME, take me home now…”

In pochi minuti siamo in camera, distesi sul letto, lei accanto a me accoccolata per scaldarsi e io immobile che non so da dove cominciare… io che non so da dove cominciare??? ridicolo… come tutta questa insulsa giornata!!!

Solo stamattina ero in treno e ora sono sdraiato sul letto con una sconosciuta apparsa da chissà dove che profuma di monoi.

Mi volto per alzarmi e magari prendere un’altra coperta. Lei mi guarda seria, perfettamente sobria e mi trattiene.

Comincia a sfilarmi la polo dai pantaloni ed infilarmi le sue mani gelide lungo la schiena. Mi irrigidisco un istante e un brivido mi percorre… ora mi va stretto tutto, anche il corpo!

Lei mi chiede di stare immobile così, e comincia sottovoce ad elencare delle cose:

“IKE – KALA – MAKIA – MANAWA – ALOHA – MANA – PONO..”

Ma sono scomodo e mi sposto sul fianco chiedendo cosa dice.

“IKE, KALA, MAKIA, MANAWA, il moment of power è l’adesso – ALOHA, amore be happy with somebody- MANA, tutto power viene dal dentro di te – PONO se si crea allora è vero..”

Poi ride, mi butta sulla schiena e si mette a cavalcioni sopra di me stuzzicandomi e sfilandomi la cintura dei pantaloni mentre le tengo le mani sui fianchi.

Tutto diventa spazio profondo, inspiro costellazioni e perdo il controllo della mente e dei nostri corpi fusi insieme.

Siamo solo armonia e profumo.

Benn, 28/4/2024

                                       Ringrazio Marco per il contributo sulle “sviste” ed il suggerimento al titolo.

Informazioni su sebienn

webm0nster
Aggiungi ai preferiti : Permalink.

I commenti sono chiusi.