Scorre velocissima la linea del suono sulla tastiera insensibile, inerte, sorda al sentimento.
Scorre come lo scrosciare di un torrente, irrefrenabile e poco profondo, saltellante gioco trasparente sui ciottoli colorati del fondo. E’ freddo, stanca, impegna, a volte appaga ma solo per qualche istante, il più delle volte inciampa; raramente trasporta.
Passetti veloci vanno a riposarsi tra una morbida coperta e il getto d’acqua rende l’aria profumata di delicati toni pastello.
Bianco caldo, steso dalle pareti alla statua che mi osserva silenziosa, mi accompagnano fino al quadro vivente di un lampione liberty perfettamente allineato con la luce solare.
Il raggio dell’astro così lontano eppure intenso, rende memoria di antichi splendori tra il vociare di una piazza divertita o i racconti di amanti in musica come viole che duettano con la luna di una notte appena sorta.
Tutto intorno il presente, con la sua immensa e prorompente energia che sfuma in migliaia di colori, lasciando i drappeggi verdi a fare da sfondo ad una coreografia di moltitudini danzanti, tra suppellettili di scena, ognuna con un suo preciso motivo d’essere.
Tra loro figure silenziose si muovono in materia ed in spirito, sonnecchiando su divani accoglienti e carezze di passaggio.
Il ritmato passaggio di un attrezzo detta il tempo: è il momento di non scivolare sul rimpianto, è il momento di lasciar camminare con passo sicuro tutte le impronte che si nutrono di bellezza e suono, è il momento che prepara la via al futuro che dev’essere accolto come solo nella sua terra si sa fare.
Un tè alla menta, parole accomodanti e un sorriso di conforto non devono mai mancare, nemmeno se l’ospite arriva sgradito.
Così per questa strada, ricambio la cortesia con un gesto del capo e mi avvicino a ballerine dagli abiti rosa chiaro, screziati di bordeaux, delicati come mantelli di raso e fatine dall’abito viola con le ali verdi punteggiate di castano.
Mi accovaccio avvicinandomi ad un’altra forma e vedo fauci feroci rosso fuoco che sembrano mettermi in guardia dal toccarle; più in là una testa di cobra di un rosa pastello, dagli occhi nerissimi ed un colla
re ampio fucsia e giallo, osserva il mio viso. E’ immobile e determinata a colpire come un fulmine in caso di azione non gradita. Fotografo con rispetto e mi allontano quasi ossequiosa.
Nel ricompormi verso la posizione eretta, un grappolo di perle bianche e verdi giocano con i miei capelli, tirandoli un po’ qua e un po’ là. Trovo che sia un dispetto divertente e con delicatezza mi divincolo dalla presa accarezzandone gli steli delicati, pigramente penzolanti a far da scivolo a gocce d’acqua appena versata.
Una foto di un tempo che sembra lontano, si gode il presente adagiata su un mobile di legno, mentre un ricciolo verde si aggrappa ad un altro come per non lasciarsi mai.
Passo attraverso inchini verdi ed ampi che mi regalano una sensazione di protezione, qualora piovesse a dirotto nell’animo confuso e mi siedo vicino ad un tavolino.
Abbasso gli occhi e lascio che siano gli altri sensi a raccontarmi il presente.
Il fluire del suono è tornato quieto con note più lente e voci di comprensione e pazienza.
Un arrivederci chiude la scena e il sipario si stende lasciando scivolare via il vociare scoordinato della platea e riempiendo di sorrisi e complimenti sinceri il palco, ben protetto dagli sguardi dietro la coltre spessa.
Nell’aria ora le parole di fiducia che si palesano gioiose sul ritmo inesperto di poco prima; nella mia mente leggo il gioco di note ora più profonde e bizzarre ora gravi e solenni, che si trasformano in riccioli di fumo e carezze. Il parlare stesso ha un che di orchestrale ed io ti vedo, dietro quell’abito elegante e quei modi educati, ribelle suono tutto d’un fiato.
In una figura che sembra appartenere a quel luogo più del luogo stesso, energia del sapere in costante movimento, sei direttrice di un’orchestra che si compone di strumenti che vibrano note con molte più dimensioni di una corda stuzzicata o un tasto premuto: dirigi aria che si infila attrverso lo spessore di un petalo che come ancia vibra direttamente nell’animo di chi ascolta.
Il grande pubblico, da stolto essere vorace di niente che sembra un tutto, annoia a morte; il sipario steso serve a proteggere le note private della camera composta di quei pochi presenti in grado di comprendere, anche senza l’uso di parole, quello che si deve fare per preparare una nuova via per la prossima impresa.
Benn.
13-2-2025